Le Moto Wankel

Il motore rotativo prende il nome dal suo inventore, Felix Wankel, che ebbe l’idea all’età di 17 anni. Dopo dieci anni di duro lavoro potè registrarne il primo brevetto nel 1929 (quando aveva 27 anni). Nel dopoguerra, lavorando in collaborazione colla NSU, produsse il primo motore commercialmente accettabile nel 1957 e immediatamente iniziò ad essere letteralmente bombardato di richieste di licenza da costruttori di tutto il mondo per via dei numerosi vantaggi teorici sui motori a pistoni tradizionali.

Il primo acquirente della licenza fu la Curtiss-Wright, produttore di componentistica industriale e per aeroplani USA, che finalizzò l’affare nel 1958. Il loro scopo originale era utilizzarlo per motori d’aeroplano e generatori industriali. Li ritroveremo comunque più avanti.

La prima applicazione del Wankel su una moto avvenne dall’altra parte della Cortina di Ferro. Nel 1960 la MZ-IFA di Zschopau aveva acquistato la licenza da Wankel collo copo di sviluppare una famiglia di rotativi per sostituire i loro motori due tempi, largamente basati su tecnologia DKW che, per quanto ai tempi fosse all’avanguardia, era vecchia oramai circa quindici anni. I gerarchi della DDR autorizzarono e finanziarono l’acquisto della licenza nominalmente per realizzare un nuovo motore per la celebre Trabant e la sua cugina “di lusso”, la Wartburg.

La prima moto, un “laboratorio viaggiante” venne chiamata KKM175W.

Per curiosità il cambio e la trasmissione finale erano un “clone” di quello della BMW R25, che era stata prodotta senza licenza nella DDR per alcuni anni col marchio EMW (il cui stemma era l’elica bavarese col rosso al posto dell’azzurro… e vorrei essere dietro a scherzare).

La moto venne testata in modo esteso (il prototipo è tuttora esistente e ha 38000km sul tachimetro) ed è qui che iniziarono a saltare fuori le magagne. Il problema del consumo delle punte del rotore era già ben noto, ma a questi si aggiunse la scoperta di altri due problemi che presto gli altri costruttori avrebbero imparato a conoscere e ad odiare: le elevatissime temperature dei gas di scarico e gli inaccettabili consumi specifici di carburante.

Dopo aver realizzato alcuni altri prototipi i gerarchi della DDR diedero ordine di terminare il progetto, dal momento che non c’era alcuna speranza di avere un motore all’altezza dei due tempi MZ/DKW in tempi accettabili e i fondi per la ricerca e sviluppo scarseggiavano.

La seconda compagnia a cimentarsi nel tentativo, ad una decade di distanza, fu Yamaha.
Il mondo agli inizi degli anni ’70 era letteralmente pazzo per i Wankel e Yamaha, come la MZ, era alla ricerca di un sostituto per i propri ottimi due tempi. L’unico prototipo realizzato, la RZ201 del 1972, era lungi dall’essere pronto anche solo per seri test su strada. Le voci vogliono che sia stato realizzato esclusivamente per attirare l’attenzione…

 

 

L’anno dopo fu la volta di Suzuki che, a differenza di Yamaha, aveva fatto i compiti a casa ed era seriamente intenzionata a mettere la sua moto Wankel, chiamata RE5, in commercio.Potrà sembrare strano, ma lo styling venne affidato niente meno che a Giorgetto Giugiaro (Italdesign). Evidentemente il padre dello stile automobilistico “a cuneo” (Maserati Ghibli, BMW M1, SAAB 9000 etc) di moto non capiva tanto quanto di auto. Detto brutalmente la moto è un’autentica mostruosità.

E all’estetica Suzuki attribuì la catastrofe nelle vendite, arrivando a commissionare un restlying per renderla più “convenzionale”

Peccato che l’aspetto, per quanto raccapricciante, fosse l’ultimo dei problemi. La moto pesava 250 chili a secco, aveva “solo” 62 cavalli e, cosa realmente rovinosa, venne lanciata in concomitanza colla Crisi di Suez del 1973 che mandò i prezzi dei carburanti alle stelle. Wankel + benzina costosa = disastro immitigato di vendite (6300 esemplari in 4 anni di produzione)

 

 

 

Nonostante la crisi petrolifera, il 1974 vide il lancio di un’altra moto Wankel, la tedesca Hercules W2000.
Il motore era un Fichtel Sachs realizzato originariamente per una motoslitta: F-S aveva acquisito la licenza di costruire motori rotativi nel 1960 per mercati completamente diversi da quelli che abbiamo nominato finora: tagliaerba, motori fuoribordo e motoseghe. Se non avete mai sentito il rumore di una Sachs-Dolmar KMS… cercate i filmati su Youtube. Laugh

Per ovviare ai problemi di lubrificazione (e magari ridurre l’usura delle punte del rotore), la Hercules girava con miscela per due tempi, più tardi sostituito con un iniettore d’olio. Ne vennero prodotte circa 1800 di cui una serie con marchio DKW.

E ora arrivano gli Inglesi! Nel 1969 l’industria automotive era letteralmente in preda alla mania del Wankel. I motivi erano presto detti: il Wankel è molto più semplice ed economico da realizzare di un normale motore a pistoni per via del minor numero di parti mobili. I furbacchioni quindi ragionarono che potevano vendere mezzi di prestazioni simili a quelli dotati di motori convenzionali, ma aumentare i margini… Wink

Alla BSA assunsero un giovane ingegnere laureatosi con una brillante tesi sui motori rotativi, David Garside, per lavorare su un motore Wankel. Applicando alcuni accorgimenti ad un motore Fichtel Sachs commerciale Garside ne incrementò la potenza dello 85%. Questo aumento di prestazioni veniva però letteralmente con prezzo da pagare: il calore generato, da sempre la piaga dei Wankel, provocava seri problemi d’affidabilità. Negli USA Curtiss-Wright prima e Ingersoll-Rand dopo avevano però sviluppato una variante della camera di plenum usata nei compressori per ovviare a questo problema, riducendo la temperatura dell’aria che si trovava a passare attraverso il motore di circa 30°C. Ma perché fermarsi qui? Garside costruì un Wankel a doppio rotore dotato di camera di plenum migliorata (che abbatteva la temperatura dell’aria di 50°C) partendo da componenti Fichtel Sachs che mostrava grande promessa.

Questo motore venne installato in vari telai (da una BSA Starfire a una Norton Commando) e, quando in un disperato tentativo di salvare l’industria britannica i vari marchi vennero combinati nel gruppo NVT (Norton-Villiers-Triumph), il Wankel divenne parte integrante della strategia del “rilancio” (anche se in questo caso è meglio parlare di “sopravvivenza”). Venne acquistata la licenza da Wankel (a nome Norton) ma il disfacimento di NVT fermò ogni lavoro fino al 1978, quando venne presentato il prototipo P42.
Nonostante ci fossero le parti per assemblare 25 mezzi, restò un prototipo isolato.Tra alti e bassi, fallimenti e resurrezioni, Norton continuò a lavorare al suo doppio Wankel.

 

Vari modelli furono prodotti, tra cui vale la pena di ricordare la Interpol II, dedicata alle forze di polizie e i cui primi esemplari erano dotati di carene prese dalla BMW R80RT (pare per risparmiare sugli studi aerodinamici).
Ne vennero prodotti 350 esemplari: i superstiti vennero venduti a privati e occasionalmente li si vede a qualche raduno o in qualche esposizione.

 

 

Il canto del cigno fu però la RC588 da competizione e la sua versione stradale la F1 (di cui in Italia esiste un unico esemplare). La RC588 ebbe un notevole successo agonistico (anche grazie ad un regolamento molto permissivo… pensate Superbike e Ducati e avrete un’idea). La F1 era realizzata con un miscuglio di parti: motore Norton, telaio Spondon, sospensioni WP e cambio Yamaha ma è tuttora una delle moto più desiderate dai collezionisti.

 

 

Nel 1976 arrivò un’ennesima dimostrazione della schizofrenia olandese: genio e follia tutto in uno. Henk Van Veen, l’importatore locale di Kreidler e Moto Guzzi, presentò la sua “creatura”, la OCR1000.

La moto era, basilarmente, una Moto Guzzi dotata di un cambio Porsche e di un Wankel Comotor. Comotor era una joint venture tra Citroen e NSU per produrre il motore che avrebbe dovuto essere installato nella M35 e nella rivoluzionaria GS Birotor. I bei tempi quando Citroen era di proprietà Michelin… Di OCR1000 ne vennero prodotte 30. Era pesantissima (320 chili a secco) ma aveva eccellenti prestazioni velocistiche grazie ai 107 cavalli alla ruota. Si dice che gli ultimi esemplari prodotti utilizzassero motori Mazda ma nessuno ha mai saputo appurare la veridicità della storia…

 

E ora, ovviamente, è il turno di Kawasaki, che aveva acquistato la licenza Wankel nel 1971 per applicazioni industriali. Venne realizzato un solo prototipo, la X99, sulla base della Z650 nel 1976. La moto, con un peso decisamente inferiore alla OCR1000 e 85 cavalli, aveva ottime prestazioni motoristiche ma non se ne fece nulla.

 

 

E ora la gemma finale.
La Honda Wankel. Vorrei potervi dire di più ma le informazioni su questo mezzo sono estremamente frammentarie. Si sa per certo che Honda non acquistò mai la licenza e si sa anche che la compagnia non aveva mai manifestato interesse in questo propulsore. La base della moto è incerta (è una CB125 molto modificata o forse una CB175), come è incerto l’anno di realizzazione (forse tra il 1971 ed il 1973). C’è la possibilità che si tratti di un motore acquistato da un altro fornitore ma, conoscendo la mentalità Honda, sarebbe ai limiti della bestemmia. Purtroppo, come altri segreti della casa dell’ala, resterà sempre un mistero.

 

Mauro

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